Turisti a Vienna
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20 luglio - Turisti a Vienna

La luce del sole, sempre mattiniero, si fa largo nella camera filtrando attraverso le sottili tende poste a difesa delle finestre; ma noi ospiti non cediamo facilmente alle lusinghe dei raggi solari.

partenza

Alle sei in punto, per alcuni minuti, le campane della chiesa suonano a distesa rinverdendo ricordi di lontana memoria. Sono le sette, è ora di muoverci, io e Clelio gettiamo uno sguardo verso Orlando che stranamente è ancora disteso sul “comodo” giaciglio. L’espressione del volto presenta un qualcosa di angelico: che diavolo è successo? Apre gli occhi e candidamente racconta di aver sognato di essere stato in paradiso, accolto da campane che suonavano a festa. Per fortuna che io, a differenza di Clelio, le avevo distintamente sentite, altrimenti Clelio si sarebbe certamente allarmato del vaneggiamento febbrile, effetto postumo della fatica accumulata nel cammino.
Il piano predisposto già da giorni prevede di raggiungere Vienna con il treno in partenza dalla stazione distante circa un km dal Monastero.

Abbiamo tempo per una ulteriore visita al santuario, all’uscita, nel cortile interno notiamo una coppia di ciclisti più che datata. Siamo stupiti dal fatto che siano stati in grado, non sappiamo quanti km abbiano percorso, di essersi arrampicati sui tornanti finali che portano in questo sito nonostante la precarietà del loro equilibrio a rimanere in piedi. “Questi teutonici sono proprio indomabili, hanno energie da vendere a qualsiasi età.” Fischiettando raggiungiamo la piccola stazione ferroviaria di montagna. Sicuramente non moderna però, grandi vasi curati e ricchi di fiori dondolano appesi alla pensilina. Una ragazza sulla soglia dell’ufficio informazioni, è solo un modo di dire, ci conferma l’orario di partenza del treno dal primo binario(!), precisando che i biglietti si acquistano sul treno stesso. Questa linea ferroviaria termina a St Polten dove occorre prendere l’intercity per giungere a Vienna. E’ forse una delle poche tratte a scartamento ridotto ancora in uso. Su un binario morto vi è uno di questi treni che fanno la spola tra Mariazell e St Polten; alla locomotiva diesel sono agganciate tre carrozze e un carro simile a quelli del trasporto bestiame del passato Far West con su disegnata la figura di una bicicletta. All’arrivo del treno, frotte di turisti, festose famigliole, numerosi passeggeri in perfetta e immacolata tenuta ciclistica scendono vociando e questi ultimi si portano nei pressi del vagone Far West agganciato alla loro carrozza, per riprendere la propria oliata bicicletta. Dato che due più due fa quattro, ecco scoperto l’arcano di quella coppia di ciclisti jurassica individuata nel cortile del Santuario: si arriva in treno, si prende la bicicletta, si percorre il km per il santuario e, dopo la visita, via a tutto pedale lungo la discesa che riconduce alla località a valle.

turisti

Ora fervono manovre sugli scambi della ferrovia per portare il treno parcheggiato sul binario morto alla “piattaforma” numero uno. E’ la stessa ragazza dell’informazione, esuberante per la sua stazza, a intervenire sugli scambi e fare da guida al treno in manovra.
Prendiamo possesso di mezzo vagone, i sedili sono stretti, gli schienali formano con la base di seduta un angolo di circa 90° con effetto rompi schiena, la loro struttura in legno (ricordo del trenino) è stata adeguata ai nuovi tempi rivestendola con un cuscino di stoffa imbottito di modesto spessore. L’interessante viaggio avviene tra boschi e dirupi che offrono scorci a picco verso il fondovalle. Il fischio del treno entra in azione, sempre in corrispondenza delle più che minuscole stazioni e attraversamenti, privi di qualsiasi barriera. La sua velocità è rilassante finché entrati in una lunghissima galleria in leggera discesa, il suo rollio per la discreta velocità raggiunta diventa tale da far temere da un momento all’altro il suo decollo. Sorpresa! (ma non troppo), il controllore addetto ai biglietti è la stessa ragazza, sprizzante contentezza,

stefano

dell’ufficio informazioni. Di corsa prendiamo la coincidenza per Vienna. Tutti gli scompartimenti sono occupati. Percorrendo il corridoio, al centro del vagone c’imbattiamo in uno strano scompartimento senza luce e con due scalini al suo interno che girano su tre lati e visto che è l’unico libero, lo occupiamo. Poco dopo ci accorgiamo che è il vagone dove i bambini trascorrono il tempo del viaggio, guardando le videocassette; non importa, occupiamo ugualmente la postazione fino a Vienna.
Con poche ore a disposizione, noi pellegrini-turisti, cosa fare? Sazi di un “buon” panino raggiungiamo la meta d’obbligo, ovvero la piazza dominata dalla maestosa cattedrale di Santo Stefano. All’esterno, sul sagrato, e all’interno della chiesa è tutto un brulicare e vociare di grande folla che ondeggia di qua e di là per carpire con gli occhi tutto ciò che è arte figurativa, architettura, gli addobbi e riferimenti storici. A seguire, dopo un ultimo affascinato sguardo

danubio

rivolto alle guglie merlate della basilica e al suo particolare tetto spiovente ricoperto di tegole colorate, ci inoltriamo nelle adiacenti vie dell’isola pedonale al limitare della quale gravitano giardini e palazzi di quello che fu l’impero degli Asburgo. Bene, non possiamo lasciare Vienna senza andare su un ponte che collega le sponde del bel Danubio blu. La mappa indica che nel punto più vicino a noi vi sono due vie d’acqua parallele: una è il canale del Danubio e l’altra il fiume Danubio. Scesi dal metrò, raggiungiamo la sponda di uno dei due corsi d’acqua, il prato adiacente il fiume pullula di bagnanti. Ciò ci rende sospettosi, Clelio saggiamente afferma che scatterà le foto di rito, però vuole essere veramente sicuro di fotografare il Danubio, altrimenti cosa dirà al ritorno? Arcangelo, un po’ indispettito dice che è sicuramente il vero Danubio perché lui lo conosce bene essendosi accampato in questa zona con il camper, piccolo particolare che aggiungerà da lì a breve, è che ciò accadde 18 anni prima. All’ennesimo consulto di cartina e GPS, concludiamo che dobbiamo ritornare indietro, difatti al secondo ponte siamo proprio nel bel mezzo dello storico corso d’acqua: il Danubio che non è affatto blu.
Il tempo è tiranno, grazie al metrò e ad un successivo treno, raggiungiamo la stazione di Mödling alla periferia di Vienna. Secondo le indicazioni in possesso, per raggiungere l’Hotel Beethoven occorre servirsi del bus 64. Chiediamo al primo autista all’uscita della stazione e lui ci gela dicendoci che non esiste tale bus. Andare a piedi fino a destinazione? La distanza da coprire è di 4 km, lo sguardo d’intesa non è mai così in sintonia: prendiamo un “comodo” taxi!
Alle 19.30 arriviamo all’albergo accolti da un festoso e sorridente giovanotto che ci riconosce appena mettiamo piede nella Hall. La prima nostra perentoria richiesta è: a che ora si cena? Il giovanotto, allungandoci le chiavi delle camere in precedenza occupate, sorridendo risponde:”nel weekend il ristorante dell’albergo è chiuso però, nessuna preoccupazione, c’è ne uno aperto distante solo 400 metri”. Pazienza, l’interessante è non saltare dopo il pranzo anche la cena.
Intorno alle 22.00 giunti all’ingresso principale dell’albergo ... tutto è sbarrato e buio, per fortuna sappiamo già che le chiavi delle camere in dotazione permettono di entrare attraverso un ingresso posto sul retro.
Col senno del poi risulta ora chiara la allora superflua richiesta della ragazza della reception: “arriverete prima delle 20.00?”
Per nostra buona sorte, oggi, non abbiamo ascoltato il consiglio di Arcangelo, accennato già da giorni, di cenare nella zona delle vecchie trattorie viennesi a lui ben note (ricordo dei sempre 18 anni or sono), in tal caso l’alternativa notturna sarebbe stata il rifugio arredato di due posti avanti e tre dietro, cioè il nostro SUV parcheggiato al lato dell’albergo. Ciao.