Le foto
20 luglio 2017
III Tappa: Marcena di Rumo - Terzolas


Sono le sette del mattino: i festosi rintocchi della campana, affidati ai quattro venti, ricordano a noi, ancora prede di Morfeo, il dovere del pellegrino. Zaino in spalla, bottiglie straripanti d’acqua nelle bisacce: il rito di preparazione è concluso. Le ragazze pellegrine sono già in attesa dei nostri comodi; non resta che incamminarsi nella direzione del segnale individuato la sera precedente, nello zonzolare ciabattando di qua e di là.
Oggi, la compagnia si è allargata per desiderio delle “ragazze” aggregate: ripongono “una fiducia smisurata nelle nostre capacità di imbroccare sempre la giusta via”. Costeggiamo coltivazioni di fragole, ciliege, lamponi e rari filari di mele. La discussione sul tipo e tecnica usata per queste coltivazioni si fa serrata e interessante. Con sicurezza deviamo su strada che sale con discreta pendenza, l’ammirazione dell’ambiente ovatta le nostre capacità d’orientamento, seguiamo la direzione Sud-Est. Clelio, per scrupolo, si geolocalizza; un grido d’allarme, non siamo sul sentiero! Ma il cartello segnaletico indica questa direzione, allora, dove è l’inghippo? Mentre io e Clelio confrontiamo mappa, geoposizione, eseguiamo triangolazioni per uscire dall’impasse, il boyscout Orlando di “corsa” percorre l’ultimo tratto in salita del sentiero, dove ora abbiamo inchiodato i piedi, per individuare in quale direzione ci stiamo gettando. Per tagliare corto, bando allo scoramento, dobbiamo ritornare al punto di partenza e da lì seguire la direzione Nord-Ovest. Riconquistata la piazza del paese, la prima cosa che colpisce i nostri occhi è la vista del cartello segnaletico della giusta direzione per l’odierna tappa. Il cinico cartello si era sottratto alla vista nel nostro sopralluogo serale “nascondendosi” dietro un pulmino lì davanti parcheggiato. Sicuramente, la sopraddetta fiducia (delle pellegrine) è troppo smisurata. Come spesso accade, da una disavventura, lieve, la positività della riflessione di un pellegrino: “perdersi per essere liberi!”
Volenti o dolenti, abbiamo già percorso, a vuoto, alcuni chilometri: lo scorrere del tempo come è ben noto non si arresta, quindi, imbastiamo un summit per rimodulare il piano odierno. Fare un taglio, dare una sforbiciata: sono le parole magiche che monopolizzano l’attenzione del soviet. Eliminazione, è la decisione unanime, di un tratto di sentiero ad U seguendo un percorso alternativo dalla località di Preghena al borgo CIS. Ebbene, a Preghena rifiutiamo l’abbraccio ammaliante di un ristorante, solo perché non è ancora mezzogiorno (!); acquistiamo nella “coop famiglia” (istituzione di questo territorio) un solo panino con cui cibarci, riaffermando così, con vigore, il concetto che siamo pellegrini. Al termine di un ennesima curva, ecco CIS: all’esterno delle mura del paese una chiesa si mostra con la sua interessante architettura; nella piazza centrale l’immancabile fontana a pianta rettangolare: tre panchine disposte su due lati la guardano. Il posto è ideale per consumare con piacere l’umile panino negandoci al canto della sirena, ristorantino a dieci metri, limitando il piacere ad un “piccolo” gelato e caffè a seguire.
All’uscita del paese ci avventuriamo su una strada che sale ripida verso il bosco, sappiamo già che dobbiamo superare un bel dislivello altimetrico e poi, finalmente, ridiscendere ai circa 750 metri di Terzolas. Lo sforzo e il sudore non fanno sconti, alziamo lo sguardo verso monte: nessun segno di ripianare. Mentre Orlando si sta esaltando nell’affrontare senza sosta la salita, seguito a ruota dalla pellegrina Rossella, Arcangelo nota e affida la propria fiducia al cartello rivolto a sinistra, direttamente nel bosco, in direzione discesa con inciso il nome di una località che sappiamo di dover attraversare. L’interrogativo è che il cartello non ha la simbologia del cammino anauniense. Il dubbio, alimentato dalla pendenza del costone che va su diritto, arresta il passo del gruppo inseguitore Arcangelo, ma non dei due battistrada in fuga. Rapidamente consultiamo la mappa on line: siamo fuori sentiero! Clelio ritorna con soddisfazione sui propri passi, direzione gravitazionale, per ricercare la traccia del cammino. La soluzione si nasconde alla vista e ai vari ragionamenti: no su, no giù, no di qua e nemmeno di là. La perseveranza viene premiata: una stretta lingua di prato sacrificata tra siepe e muretto termina ad un cancello con impresso il noto simbolo della conchiglia e freccia gialla. Bravissimi! questa è la porta del cammino attraverso un meleto. Da qui in avanti non ci sono più intoppi da segnalare a parte la mia richiesta a Clelio di farmi una foto, ciò è “un segno”: tale operazione fa scorgere a Clelio di non avere più gli occhiali da sole che ritroviamo a poche decine di metri addietro e, quindi, con possibilità di recupero.
Uno dei primi edifici all’ingresso in Terzolas, con poco margine di dubbio, è la chiesa principale dell’abitato; nella piazza antistante l’immancabile fontana di “meravigliosa” acqua, ovvero i due simboli: spiritualità e vita.
Un largo viale, chiuso al traffico, collega la piazza allo slargo “Torraccia”, virtuale bandierina di fine tappa. Qui, la sede comunale, adiacente ad un grazioso punto di ristoro, delimita un lato di questo spazio, occupato in parte dall’immancabile fonte di vita; sul lato opposto il cartello segnaletico, inequivocabile, d’inizio del successivo tratto del cammino.
L’agriturismo “Anselmi” è il nostro rifugio per la prossima, benevolmente invadente, notte. La conduttrice ci accoglie con un caloroso sorriso e da lì a poco è lieta di offrire un succo di frutta: inevitabilmente di mele. E’ prodiga di particolari nel descrivere questa sua struttura ricettiva, dove legno e cemento convivono armonicamente, sorta sei anni prima dalle ceneri, è un modo di dire, di una grande stalla. Per l’imminente cena ci affidiamo alle sue pietanze: manicaretti che, come ben noto, per qualcuno sono sempre buoni ma, questa volta, siamo tutti concordi sul buono a prescindere. I nostri esperti intavolano con la “cuoca” una arzigogolata discussione: come si ottiene un buon succo? Arcangelo disquisisce sul marchingegno “estrattore” sotto il placido assenso della locandiera. Corre un fiume di parole prodighe di approfondimenti e chiarimenti sulle differenze tra estrattore, frullatore, frutta, verdure senza arrivare mai al lato pratico, quindi più interessante, del suo consumo. Orlando ritiene che occorre liberare la frutta dai semi e da altre parti confutando, così, l’Arcangelo. Quest’ultimo sostiene l’impiego del frutto nella sua quasi integrità, al che Clelio “azzarda”: il cocomero, può essere dato in pasto tutto intero alla macchina? L’eccitante discussione “macchinario-orto-vegetariano” termina all’arrivo del dolce: “salame di cioccolato!” Per digestivo due passi di relax fino allo slargo della sede comunale: è in corso la sagra paesana, allietata dal suono di un organetto, diffuso da un impianto mono di qualche decimo di watt; lo strimpellio accompagna il lento movimento di un mestolo nel pentolone, riempito di latte prodotto nella valle, per ricavare del “sicuramente sempre buono” formaggio pronto da gustare. Ciao, a domani.