Le foto
19 luglio 2017
II Tappa: Madonna di Senale–Marcena di Rumo


Primi passi tra boschi e alpeggi: Francesco armeggia con il proprio smartphone d’ordinanza per connettersi con i suoi collaboratori della lontana sede di lavoro. Il pellegrino è si materialmente con noi ma, tutti i suoi neuroni gli fanno credere di essere seduto nella “cara” poltrona intento a risolvere urgenze, impartire indicazioni a chi, pur essendo ora fisicamente in sede, con la mente è forse qui in cammino: avanti, dietro o di lato non è rilevante. In breve veniamo affiancati da due signore: Antonella e Rossella, ora pellegrine, che la sera precedente avevamo intravisto a cena sedute ad un tavolo adiacente al nostro. Le due “ragazze” pellegrine, le chiamiamo così vista la differenza temporale con noi “quasi” jurassici, percorrono la nostra stessa tappa e per buona parte del percorso ci affiancheremo spesso, nonostante allunghi e ritardi, in una alternanza di ricongiungimenti. Nei tratti boschivi il “botanico” Arcangelo è prodigo di descrizioni sui funghi, lamponi, tipi di alberi eccetera. Per ogni cosa che è natura ha una risposta e tutti ormai pendiamo dalle sue verità. Quando Clelio chiede al suddetto luminare che tipo è quel fungo sotto il mirino della propria macchina fotografica, istantanea la risposta: “è la brisa!” Clelio, timoroso per una ulteriore banale delucidazione, azzarda: “si mangia?” Con tono serio Arcangelo disseta l’arsura di conoscenza: “può essere buono o, non buono!!” Un dubbio “quasi” amletico.
Superati prati e folte abetaie raggiungiamo Lauregno. L’orologio del campanile della chiesa millenaria dedicata a San Vito, che come sempre punta verso l’azzurro del cielo, segna le 12 e 30 minuti.
Come spesso accade noi pellegrini non ci limitiamo per pranzo al solo fugace, sufficiente, decantato pezzo di pane e, difatti, la lusinga della panoramica terrazza di una osteria sovrastante la chiesa del paese, da dove far correre lo sguardo verso monte e valle è troppo allettante e, più che tentati, lo consideriamo un obbligo fermarci per assaporare la leggera brezza che mitiga la calura, godere il tempo scandito dai rintocchi della campana che rompono il silenzio con un lento susseguirsi ancor più lento del nostro andare nel “piacere” della fatica. In parole povere ci accomodiamo, aspettiamo con la dovuta pazienza un piatto di spaghetti, eccetto Orlando che si arrovella nella scelta di una pietanza vegetariana offerta, poi, su un piatto “ricco” di quattro verdi palline e, al solo vederle, lo stomaco va in subbuglio: il digiuno, per l’avventuriero, è la scelta corretta. Le due pellegrine, sopra menzionate, bivaccano (si fa per dire) sedute ad un tavolo distante qualche metro dal nostro; il loro pasto super energetico è un trancio di strudel di grandezza tale da suscitare invidia in Polifemo.
Pronti a riprendere la marcia dopo aver ammirato l’interno della chiesa in onore di San Vito, al centro del villaggio germanofo formato da molti masi centenari di montagna il cui nucleo centrale si è formato intorno alla suddetta chiesa, costituendo un angolo del Sud Tirolo.
Il sentiero montano da affrontare presenta due gobbe successive però, per rispetto di noi viandanti affaticati dal pasto appena consumato, si srotola sotto l’ombra di alti abeti. Man mano procediamo con passo sempre più sostenuto, perché nostro desiderio è quello di terminare la fatica odierna nel pieno del pomeriggio. Alle porte del territorio di Rumo raggiungiamo le già menzionate pellegrine. Le due “ragazze” manifestano il desiderio di aggregarsi a noi, l’indomani mattino, nel proseguo del comune pellegrinaggio.
Oggi non abbiamo commesso errori di percorso che puniscono sempre con duri chilometri supplementari: il sole è ancora alto; ecco l’albergo santa Margherita a cento metri dal termine della tappa, fissata sul sagrato della chiesa di San Paolo ornata da un bel campanile in stile romanico.
Ovviamente la buona cena è linfa per il buon umore e ,”miracolo!”, Orlando dopo le ultime disavventure culinarie riacquista il sorriso e la carica per affrontare con rinnovato spirito le prossime fatiche pellegrine.

Un passo indietro: nell’attesa delle pietanze Arcangelo mostra un fungo, raccolto in mattinata. L’aspetto è quello di un cono gelato a due gusti; con la massima cura lo custodisce (!!) in un trasparente sacchetto per alimenti. Mentre, gelosamente ce lo mostra, il suo sguardo s’illumina in una smorfia che pregusta il piacere di addentarlo ma, nello stesso istante, un pensiero naviga nella sua mente: “è buono o, non buono?” La scelta è stata sicuramente la migliore visto che il mattino seguente ha risposto: presente!
Nel dopocena bighelloniamo tra le viuzze, due massimo tre, di Marcena alla ricerca di vecchie abitazioni della passata nobiltà rurale anauniense, abbellite da affreschi sulla parete esterna; in una di queste, su un interessante polittico, la raffigurazione di San Giacomo di Compostela. Ultima incombenza da assolvere prima del “giusto” ritiro è l’individuazione del cartello del cammino che segnala la via da seguire per la successiva tappa. Detto e fatto: Orlando, esploratore dall’acuta vista, ci informa che il segnale da seguire è posizionato sul lato della strada di fronte l’antica chiesa. Forti di una palpabile soddisfazione non vediamo l’ora che il sole torni a risplendere per ripartire con rinfrancata scioltezza pellegrina anche se, in verità, nell’ora del pranzo e della cena siamo “turigrinos”. Ciao, domani sarà un altro giorno!

Processo alla tappa

Dovere è rimarcare l’amenità di un paesaggio in pace con la natura: l’ambiente naturale si sposa con grandi masi sparsi qua e là dove ogni cosa è conservata e disposta secondo una logica funzione. Il vecchio convive con il nuovo; costruzioni in muratura con quelle in legno; i paesi sono grandi rispetto agli abitanti effettivi e, difatti, poche sono le anime che incontriamo; modesto è il traffico di autovetture rispetto al lento andirivieni di mezzi agricoli. Dal montano sentiero i paesi, agglomerati di case addossate ad antiche chiese con l’immancabile campanile a punta che getta uno sguardo protettore sul territorio di competenza, sono vasi di fiori disseminati tra alberi e prati. La spiritualità del percorso è evidente per la presenza di numerose chiese, edicole, affreschi dedicati a Santi che fanno emergere il forte sentimento della cristianità anauniense. Banalità, ma decisiva per il pellegrino, è la cospicua presenza di fontane illuminate dallo scorrere della fresca acqua, alla cui vista il viandante non può che esclamare: “cara sora acqua!”
Chiedo perdono per questa divagazione dalla pura cronaca quindi, buona notte, sperando di non lambiccarmi il cervello nel notturno dubbio: piumone si, piumone no!