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Mercoledì 9 settembre: Prato Drava – Monguelfo

Il sole è già all’opera da alcuni minuti. Noi, in veste pellegrina, nel rispetto dell’orario fissato la sera precedente, come orologi svizzeri ci posizioniamo per la colazione. È superfluo rimarcare lo spaziare irriverente su tutte le prelibatezze disseminate sull’imbandita tavola. Non c’è tempo da perdere. Alle 8.15 a.m. dobbiamo servirci del treno per raggiungere San Candido e da lì saltare sull’autobus con meta il punto di attacco del cammino Jakobsweg, tratto italiano. Durante il tempo del trasferimento il sole fa posto ad una spessa copertura nuvolosa probabilmente dovuta a una significativa umidità della valle. Difatti, una volta giunti a destinazione il sole domina di nuovo tutto il cielo. Nel tragitto ferroviario sono colpito da una infinità di biciclette ammassate negli spiazzi prospicienti le stazioni, in particolare in quella di San Candido. Finalmente la piazza del borgo Prato alla Drava. Da qui il valico di frontiera dista circa un chilometro. È tempo di muovere il primo passo e tutti gli altri a seguire. Ad un centinaio di metri una prima deviazione più che obbligatoria vista la terra d’origine di noi pellegrini. È qui presente infatti uno dei tanti segni che si manifestano a portata di piedi. Una chiesetta (esterno senza pretese) ha riprodotta al suo interno la cappella di Loreto. Tale costruzione fu realizzata per volontà di un oste del luogo nei pressi della sua abitazione (abbattuta per far posto alla ferrovia) intorno al 1650 al suo ritorno dal pellegrinaggio alla Madonna di Loreto. Qualche passo indietro per riprendere la traccia del cammino. Nei primi chilometri la via da percorrere è sovrapposta alla ciclabile. Sembra un paradosso ma abbiamo delle difficoltà nell’instradarci sulla pista per l’intenso traffico su due ruote. Un nuvolo di biciclette, quasi tutte a pedalata assistita, percorre questa stretta sinuosa lingua di asfalto. Biciclette di tutte le taglie e specie. Ciclisti ragazzini, giovanotti, tardi giovani, adulti, giovani anziani ... sfrecciano in silenzio, a frotte, in modo singolo, a coppie, in gruppo famiglia e così via. Anche per i piccolini nessun problema; il loro risciò è trainato con sicurezza dalla bici paterna o materna. Il mezzo di trasporto a due ruote la fa da padrone assoluto. Se gli animali al pascolo sono pochi i “pedalatori” sono numerosi come mosche. Bene, nonostante ciò avanziamo con passo spedito. I verdi prati nella valle, i boschi che coprono la montagna, la costeggiano in tutto il suo sviluppo dall’Est all’Ovest. Le punte rocciose dolomitiche della Croda dei Baranci dilettano gli occhi alleviando la fatica dei passi. Ai rintocchi della tredicesima ora del giorno entriamo in San Candido. Cittadina che rievoca in me i bei ricordi di un tempo non proprio recente. Il paese conserva sempre un fascino di signorilità. È tassativo entrare nella chiesa della “Collegiata di San Candido”. Chiesa romanica più importante dell’Alto Adige. Al suo interno ammiriamo gli affreschi con particolare attenzione a quelli della cupola. Bando agli indugi occorre riprendere con rinnovata lena la marcia. Siamo intorno al dodicesimo chilometro. La strada è ancora lunga e come sempre il tempo si srotola velocemente. Lasciato il paese entriamo nel bosco che ci accompagnerà fino a Dobbiaco. Pensavamo che il tragitto fosse più breve. Ormai tutto il trangugiato della colazione è un pio ricordo. Dipenderà forse dall’ora (oltre le 13.00) ma la percezione del dilatarsi del tempo concomitante alla necessità di fruire di adeguato sostentamento fa sì che il bosco assomigli sempre più a una foresta. Il pellegrino vive più di acqua che di pane (sic!). Nel suo peregrinare fa conoscenza di tante fontane. Si disseta focalizzando l’attenzione solo sul prezioso liquido, non importa se offerto da un semplice tubo: corto, lungo, metallico o di gomma, va sempre bene in quanto è più che un piacere attingere al “frutto” delle fontane. Mentre siamo ancora nel bosco ci imbattiamo, non per caso, in un rigagnolo d’acqua che sgorga dalla roccia a pochi metri dal sentiero. È la sorgente del fiume Drava. Fruire della sua linfa è una bella sensazione che sa di emozione. È sorprendente sapere che questo rivolo appartiene al bacino idrografico del Danubio, e al termine del suo percorso lungo 780 km sfocia nella grande via fluviale danubiana raddoppiandone la portata. L’acqua è sì vitale ma lo stomaco vuole la sua parte. Il suo borbottare è sempre più insistente. Il linguaggio è semplice ed inequivocabile al limite della supplica: per favore qualcosa da mangiare! Con decisione abbandoniamo il sentiero del bosco per addentrarci nell’agglomerato abitativo sottostante, la parte nuova di Dobbiaco. Perentorio è individuare un qualcosa che faccia al nostro caso evitando allo stesso tempo di non allontanarci troppo dalla traccia del cammino. Gettando lo sguardo avanti, a destra, a sinistra la sensazione è quella di un’ardua impresa. Per inerzia scegliamo di inoltrarci sulla via che degrada alla nostra destra. L’insegna pizzeria, panini etc. cattura la nostra attenzione ma…ad un passo dalla vetrina d’ingresso siamo respinti con forza dalla pesantezza di un nauseante odore di frittura prossimo al tramortimento. Per fortuna il respingimento è così forte che ci sbatte indietro verso gli scalini di un bar-gelateria. Nella tranquillità gustiamo un bel trancio di strudel e a seguire un affogato al caffè. Con rinnovata baldanza riprendiamo a macinare chilometri. Riguadagniamo il bosco per abbandonarlo soltanto negli ultimi tratti dell’odierna meta. All’uscita della foresta nella discesa verso Villabassa costeggiamo un complesso ricreativo sviluppato attorno all’edificio Casa Alpina. Pochi metri oltre notiamo il manifesto fons salutis. Orlando, illuminato da una a noi invisibile luce esclama: “è vero! qui c’è la cappella, dedicata alla grotta di Lourdes, da cui sgorga l’acqua della salute”. Dall’esternazione alla ricerca del sito il lasso temporale è tendente allo zero. Una manciata di secondi e l’Orlando ci guida con soddisfazione alla cappellina-grotta. Chiaramente, avendo letto tutte le proprietà taumaturgiche della fonte, abbandonarsi ad un sorso di tale acqua è più che una necessità. Raggiunta la piccola cittadina di Villabassa attraversiamo il centro storico per ammirare la chiesa tardo barocco di Santo Stefano, patrono del paese. Si accede al sagrato della chiesa dal lato sinistro percorrendo una scalinata. Oltre agli affreschi, sulla pala d’altare è raffigurato il martirio del Santo. Questo luogo di preghiera è uno dei tantissimi che incontreremo lungo il cammino. In effetti la traccia del pellegrinaggio non è altro che una virtuale linea spezzata composta da tanti segmenti che congiungono i campanili delle chiese, più o meno grandi, disseminati lungo l’intera valle da Est ad Ovest. Il soffio di una deliziosa brezza ci accompagna negli ultimi chilometri tra ameni prati. Un passo indietro per ricordare che alle porte del borgo appena menzionato Arcangelo realizza che non ha più in mano le preziose racchette di aiuto al cammino. Ciò è motivo di disappunto ma non lo infastidisce più di tanto. Appena completata l’odierna tappa tornerà subito indietro a Dobbiaco per recuperarle. La parola indietro non deve preoccupare troppo il lettore: indietro sì, ma con il treno. Particolare rilevante è che il treno percorre tutto il giorno la valle nei due sensi con significativa frequenza. Ancor più interessante è che ogni ospite di Hotel, Gasthof, Pensione etc. può usufruire gratuitamente del treno per una settimana, senza limite rispetto al numero di corse che intende effettuare. Tale lungimirante scelta è legata alla necessità di decongestionare il più possibile la valle dall’incessante e sostenuto traffico automobilistico. Ecco Monguelfo. La bella tappa è alla sua conclusione. Lo spirito e la vista sono stati ben appagati, un po' meno i piedi nel battere l’asfalto della ciclabile nell’ultima dirittura d’arrivo. Intorno alle 18.00 calpestiamo il marciapiede del nostro odierno albergo, umile rifugio per l’imminente notte. Il suo nome è “Hotel Hell Macellleria”. È uno di quei segni da interpretare come sicurezza di qualità della cena che consumeremo a breve, o motivo di inquietudine? La giornata è ormai da archiviare. Sorry! non per il pellegrino Arcangelo. Ci siamo chiesti e ora chiedo al lettore: cosa lo abbia spinto a gettarsi nell’impresa di recupero delle racchetten dimenticate nel bar di Dobbiaco, probabilmente già in chiusura? Quando al primo tentativo di salire sul treno lo si perde perché si sbaglia binario, non è già questo un eloquente segnale? Nonostante ciò non scoraggiarsi e, in virtù di un rapido dietro front, tornare all’albergo per consumare la cena prima della chiusura dell’annessa cucina per poi riprendere di corsa la via della stazione nell’oscurità, è una scelta oculata? Chiaramente dopo aver ben cenato, noi più assennati pellegrini impegnati nello “struscio” nei pressi dell’albergo, disquisiamo su vari scenari indipendentemente dal buon fine o meno del recupero dell’oggetto. Riuscirà a prendere l’ultima corsa del treno? Se no, potrà ricorrere ad un taxi? O visto l’indomito coraggio ripercorrerà di nuovo a piedi il tragitto affrontato già nel pomeriggio? Domani mattina sarà al nostro fianco alla ripresa della marcia? Ben conosciamo Arcangelo. L’avventura è il suo godimento, le difficoltà il suo piacere. Il quasi impossibile la linfa vitale. Difatti poco dopo, telefonicamente, la notizia che sta ritornando con le famose “racchetten”: missione compiuta con successo!!