Le foto
10 settembre 2020: Monguelfo - Casteldarne

Accade spesso, e oggi ne è una ripetuta conferma, di commettere errori nel prendere o seguire la giusta direzione del cammino. Però in questa tappa non sono quasi mai a noi imputabili. Le impreviste e obbligate deviazioni sono la conseguenza di recenti smottamenti del terreno. A parte queste “stimolanti” contrarietà, il cammino si fregia di uno splendido sole caldo ma non asfissiante. Nella mattina il sentiero si snoda sempre su prati, in parte occupati da piantagioni di granturco. Chiaramente boschi tutto intorno. La valle è culla di quattro/cinque vie che la percorrono in tutta la sua lunghezza intersecandosi (ovvero ciò che ora è a destra lo troviamo poi a sinistra e così via) in una piccola “spaghetti junction”. Come già detto nella valle “sfreccia” la linea ferroviaria, e non manca la strada statale, arteria messa a dura prova dall’intenso traffico automobilistico. La ciclabile, e il sentiero del cammino spesso si sovrappongono con disappunto del povero pellegrino. Accanto ad esse la via fluviale dell’impetuoso fiume Rienza, caratteristica distintiva della città di Brunico. Tutte le direttrici si snodano nella stessa direzione Est-Ovest/Ovest-Est, ma solo il cammino e il fiume seguono la “one way” Est-Ovest. Dopo una breve salita ci troviamo alle porte del primo di tre paesi disposti quasi in fila indiana: Valdaora di Sopra, di Sotto di Mezzo. Un affresco di San Cristoforo ricopre una buona parte della facciata della chiesa … non ricordo se Sotto, Mezzo o Sopra. Costeggiamo una scuola mentre nel cortile gli studenti sono impegnati nella lezione di educazione fisica agli ordini di una muscolosa professoressa che li sollecita verbalmente in lingua tedesca; il risultato sembra buono. Poco più in là, nel cortile di un asilo, quattro bambini avvinghiati al cesto dell’altalena, due in piedi e due seduti, gridano festosamente la loro gioia. Anche qui la scena sa di buono e bello assieme. Svetta sugli alberi la parte alta del castello di Brunico. Purtroppo la conquista della cittadina non è semplice. Interruzioni e deviazioni mettono a dura prova la nostra capacità di orientamento. Dopo summit, contro summit, discussioni, sensazioni, avanti diritti, a zig zag, ritorno sui passi effettuati finché ecco… la chiesa di Santa Maria Assunta di Brunico. Accediamo all’ingresso principale attraversando il campo del cimitero collocato sul retro. La presenza del camposanto è una caratteristica comune di molte chiese del Trentino Alto Adige. L’aspetto è quello di un bel giardino. Tutto è ben curato: dai vialetti, ai piccoli prati, ai fiori, alle lapidi e così via. Ai due lati della facciata principale svettano due campanili che sovrastano le abitazioni della cittadina. La visita al suo interno è ben ripagata dalla bellezza delle opere pittoriche e architettoniche. È sicuramente valsa la pena l’aver percorso 20 km nella mattinata, per ammirarla ora in una splendente luce esterna e gettare poi l’attento sguardo sui tesori custoditi all’interno. I rintocchi della campana annunciano che già da tempo è iniziato un altro giro della lancetta più corta dell’orologio. Pochi passi e siamo nello slargo a forma di piazza riconosciuto come centro del nucleo storico. Alle spalle di questa piazzetta, verso il monte, il castello simbolo di Brunico. Nella accecante luce dei raggi solari non più a perpendicolo, il mio sguardo corre sulle facciate degli edifici allineati sul lato opposto alla mia posizione. Improvvisa una sensazione non strana … è semplicemente emozione focalizzare il quadro visivo sulla facciata merlata dell’Albergo Krone. Il mio vivo ricordo corre a quarantuno anni fa. Io Walter, e Rita, mia moglie, abbiamo trascorso qui alcuni giorni durante il viaggio di nozze. Condivido subito le mie sensazioni inviandole una foto del Gasthof alla quale risponde:” è proprio come allora!” Insisto e vinco la blanda resistenza di Orlando. Ho “sete” e scelgo come bivacco un tavolo del ristorante dell’albergo Krone posto sullo spazio aperto di fronte al suo ingresso. Tutto è perfetto. Lo è ancor di più il gustare risotto ai funghi federlini con affogate cotolette d’agnello. A qualche metro di distanza una “piccola banda di paese” improvvisata, “pochi elementi senza pretese”; due tardi giovani, di cui uno con vistosa esuberanza corporea, diffonde (per gli esperti strimpella) per la tranquilla piazza, musica di un romantico tempo che fu. È quasi poesia. Bando al caramelloso! Restano ancora dodici km da trotterellare. In marcia. Però è d’obbligo prima di immetterci sulla traccia del cammino allietarci con il passeggio lungo la via Centrale, fiancheggiata da facciate colorate ed eleganti negozi. Brunico è ormai lontano alle nostre spalle. Ci addentriamo nel bosco lasciando il fiume Rienza alla sinistra rispetto alla direzione di marcia. È banalità ripeterlo ma anche per questo ultimo tratto più volte i nostri passi calpestano sentieri e prati distanti dalla stabilita linea del cammino. Piacevole è l’attacco al sentiero il cui profilo altimetrico, non certo da urlo, ricalca la sinuosa linea di cresta del Piccolo e Grande Corno del massiccio del Gran Sasso. Più che all’ambientazione naturalistica già nota, la nostra attenzione è catturata dall’incontro del “secondo tipo” di bisonti al pascolo … tranquilli, niente paura; con perentoria certezza, così Arcangelo: “ma che bisonti, sono bovini di razza scozzese!” Un curioso particolare da annotare è l’attraversamento di un bello agriturismo in stile zoo-museo. È tardo pomeriggio. La presenza del cartello segnaletico di Casteldarne conferma che la tappa è praticamente conclusa. A dir la verità, già due ore prima, Arcangelo, avvalendosi di una vista a realtà aumentata, puntando l’indice verso Ovest esclama: “ecco! laggiù il campanile della chiesa della frazione di Chienes! siamo a pochi minuti dall’arrivo”. Non aggiungo commento. Varcare la soglia del Gasthof Obermaier è per noi come entrare in casa: sarà forse perché l’abbiamo lasciato solo due giorni fa, sarà per la presenza di Luisa, sarà per la presenza della signora Iole che è pronta a elencare le prelibatezze preparate per la cena. Prima di archiviare il racconto della giornata, evidenzio quanto comunicato da Francesco a Clelio durante la più che buona cena: “il vino comincia a fare effetto, sono contento e non so perché”. A queste parole Orlando avverte un fremito, di che natura non so. Sicuramente richiama alla sua mente il messaggio d’augurio di “buen camino” inviatoci da Clelio (pellegrino in stand-by) il giorno della partenza. Una foto di noi quattro con in sovraimpressione la dicitura “pellegrini”. È animata dall’apparire delle mascherine sui nostri visi sostituendo di contempo la didascalia in “covigrini” (pellegrini al tempo del Covid). In parole semplici, Orlando, unendo quel recente ricordo all’euforia malcelata di Francesco, ferito per la dissolutezza dei costumi sentenzia: “ma che pellegrini o covigrini… noi siamo turigrini!” (da intendere come turisti più che pellegrini)
A domani! per un’altra tappa.