Abbazia di Casamari
Le foto
13 luglio 2016: Guarcino - Casamari 38,5km

Da un giorno Orlando non fa che ripetere: l'acqua della fontana di Guarcino va al di là della bontà, è un'acqua miracolosa per il credente. A furia di sentire questa tiritera Clelio si improvvisa un acuto filosofo: l'acqua è miracolosa per tutti i credi quindi, se ognuno ha il suo Dio, Dio è mischiato (sic)!! Tralascio queste fini disquisizioni per descrivere l'odierna tappa che con i suoi 34 km si presenta come la più dura del nostro peregrinare. Abbandoniamo il paese percorrendo un largo sentiero, piacevole, aperto che permette allo sguardo di spaziare quasi a 360° sulla verde valle coronata da montagne con rigogliosa vegetazione. Dosando opportunamente le forze raggiungiamo l'abitato di Vico nel Lazio abbarbicato sulla cima di una collina. Sono passate da poco le dieci del mattino, la sensazione è quella di essere in anticipo sulla tabella di marcia per cui … è d'obbligo "andare a zonzo" fino alla piazza del paese. All'angolo della piazza su cui si affaccia un bar, sotto l'ombra offerta da caseggiati con muri in pietra, avventori intenti a sorseggiare bevande tonificanti, più in là un ragazzo tira calci al pallone; una signora dall'aspetto indaffarato (!) la attraversa con passo pimpante e, mentre stiamo leggendo una grande incisione su marmo, non so se a memoria dei posteri "Vico nel Lazio gemellaggio poetico con Recanati ", ci invita a rifornirci di buona e fresca acqua, sicuramente invitante ma non giuro se miracolosa, presso la fontana ubicata nella piazzetta sul retro della "Cattedrale" del paese. Dopo un consulto logistico sul da farsi, abbandoniamo lo "struscio" del borgo. All'unanimità, per guadagnare tempo e ridurre così la lunghezza della tappa di qualche chilometro, la decisione è quella di servirci della variante "direttissima" che permette di raggiungere la Certosa di Trisulti senza scendere nella località di Collepardo. Quindi, appena usciti dal paese abbandoniamo il percorso ufficiale del cammino per servirci della "fantomatica scorciatoia" attraverso la montagna che, nel libretto guida, è indicata come "ben" segnalata dal CAI locale. Detto e fatto! Al primo incrocio, a qualche metro dalle mura di cinta del paese un cartello orientato verso il monte indica "Trisulti 2 ore e 55 minuti"; è la nostra direttissima! Dei signori in siesta su panchine all'ombra, osservando il nostro armeggiare intorno alla segnaletica, ad alta voce quasi implorano a prendere la via stradale per Collepardo. Tronchiamo ogni loro velleità persuasiva affermando che seguiamo la variante seguendo il suggerimento indicato dal CAI. Mentre imbocchiamo la suddetta variante, notiamo uno dei signori in siesta alzarsi, avvicinarsi al cartello, scrollare le spalle con espressione dubbiosa e ritornare a sedersi!! Col senno del poi dovevamo insospettirci e aprire "un tavolo di riflessione". Un allegro sole accompagna il nostro avanzare su un sentiero in salita privo di ripari ombrosi però, l'individuazione di un segnale del CAI osservato già da qualche minuto ci infonde fiducia sulla scelta fatta. Giunti ad uno spiazzo dopo alcune curve e controcurve un recinto blocca il passaggio, ci guardiamo intorno e non intravvediamo nessun cartello segnaletico, cosa fare? Torniamo indietro fino al bivio dell'ultima certezza. Senza palesare dubbi ci avventuriamo, allora, per una ripida via che sale verso la cresta della montagna; ormai prossimi alla quota di mille metri, ci gettiamo in una nuova direzione che si addentra nella vegetazione sempre più fitta e inospitale. E' duro accettarlo, bisogna ritornare al bivio di certa memoria e probabilmente ripresentarsi alle porte del paese per sbattere nell'ironia degli uomini lì in siesta. Giunti al già noto luogo critico, uno sguardo più attento ci fa scorgere un ulteriore segnale che indica un sentiero che punta verso i prati più in basso. Avanzando a ventaglio riusciamo ad individuare i successivi segni direzionali che ci riportano sulla strada asfaltata. Dal momento dell'uscita da Vico abbiamo spianato la montagna per più di due ore ma l'avanzamento verso l'odierna meta è stato solamente di un chilometro scarso. Mezzogiorno è ormai alle spalle; fermi, all'altezza di un incrocio stradale per un briefing, concludiamo che ormai non è più possibile raggiungere Trisulti che dista ancora due ore di marcia in salita per percorrere poi altri 16 km fino all'arrivo di tappa; a malincuore la scelta è di raggiungere Collepardo e tagliare così la Certosa. Orlando, sofferente per le ferite ai piedi, è seduto all'ombra, abbandonato in uno stato meditativo; è spontaneo paragonarlo a uno dei tanti "Santoni". Francesco risolleva lo spirito del gruppo con lampi di saggi aneddoti: se vuoi stare fresco ... cammina con Francesco; perdersi per ritrovarsi etc. Questi sono gli scarni spunti degni di nota offerti dal pellegrino in mancanza di incontri in cui cimentarsi con le ben note padronanze linguistiche, purtroppo da qui … "non passa lo straniero!" Percorso già un chilometro dall'ultimo summit, una lampadina si accende nella mia testa: la strada privata che si biforca dal bivio da poco superato è la variante ufficiale per Trisulti. Torniamo ancora una volta sui nostri passi per inforcare un tratto di sentiero che sembra una pista d'atletica fino ad un camping e, proseguire poi, lungo la linea che scende verso il fiume immerso nel bosco montano. Dopo varie vicissitudini guadiamo il fiume a fondo valle dove un cartello indica che occorre risalire il dorso della montagna per poco più di un'ora fino a raggiungere, alla sua sommità, un viale alberato lungo poco meno di un chilometro, che anticipa il grande complesso della Certosa di Trisulti dove finalmente sostare, per riprendersi dalla fatica e stress sostenuti per il continuo perdersi ma, per fortuna, la barra della mente si è mantenuta dritta. La Certosa di Trisulti è un'abbazia cistercense al trivio (Trisulti) di tre valli. Siamo in montagna ma la sensazione è di deserto con l'abbazia a quest'ora chiusa per la "siesta" e l'assenza di anime. Per nostra fortuna costeggiando l'imponente complesso architettonico una fontana e, un'osteria a qualche metro di distanza. Ora pane per i nostri denti; a seguire un agognato gelato. Bando agli indugi, la sosta va interrotta, restano da percorrere ancora 15/16 km per il traguardo odierno. Il gestore del ristoro, ci porta a conoscenza che nell'abbazia ci sono: due soli monaci più che anziani, un custode addetto all'apertura della stessa con orari non proprio di stretta osservanza. Al congedo ci rincuora affermando che da qui a Casamari è tutta una discesa prima di un'agevole pianura. Mai indicazione fu più fuorviante, discesa sì ma a seguire una lunga e impegnativa salita, quindi vari saliscendi sotto un sole che non prende mai un momento di riposo. Nel percorrere l'iniziale discesa quando ancora non era chiaro ciò che ci attendeva, alcuni di noi pellegrini ingannano il tempo abbandonandosi a discorsi accademici; in particolare da registrare una lunga e fitta discussione esplicativa sulla farina "00", le sue proprietà nutritive, come si prepara, la crusca etc. Finalmente la località di San Francesco ad un tiro di schioppo (non per chi va a piedi) dall'abbazia di Casamari. Rintoccano le diciannove, mancano ancora 8 km per raggiungere la casa albergo delle suore che or ora abbiamo avvertito telefonicamente del nostro ritardo, ci aspettano al più presto, quindi, urge aumentare la cadenza dei passi. Come più volte già accaduto nell'odierna tappa, all'uscita dell'agglomerato abitativo seguiamo il suggerimento di una segnaletica che ci porta fino ad un ponte in costruzione il cui attraversamento è vietato; l'unica alternativa è munirsi di una grossa falce per aprire un varco tra arbusti ed ortiche a lato del torrente dove intravvediamo un accenno di sentiero. Cavolo! occorre tornare indietro perdendo ulteriore tempo prezioso. Forza! il nostro virtuale tamburo che detta il ritmo è ora più frenetico di quello delle galee romane lanciate nella imminente battaglia navale. Lungo la via che si snoda nella campagna con discreta densità abitativa, alle occasionali persone che incontriamo chiediamo, senza rallentare: quando dista Casamari? la direzione è quella giusta? Le risposte sono rassicuranti per la direzione ma la distanza da percorrere rimane un'incognita: si passa dai 3 ai 4 km per ritornare ai tre, fino all'ultima informazione che sembra la più veritiera ma è un colpo proibito: 5 km per Casamari! Il paese è preannunciato dai resti di un bel muro di cinta in blocchi di pietra mentre già scendono le prime ombre della sera. L'abbazia di Casamari dista pochi metri più avanti; la struttura muraria di questa abbazia cistercense in macigni di granito dà la sensazione di forte solidità. Superiamo la cancellata esterna, calpestando un fazzoletto di pavimentazione millenaria, da un accesso laterale che immette su un fortificato cortile interno. Sul fronte del cortile, a sinistra, degli scalini che salgono fino al sagrato della cattedrale in stile gotico il cui portone in questa tarda ora è chiuso, a destra, un secondo portone in legno massiccio, anche esso chiuso nega l'ingresso al Monastero. Una frazione di secondo dopo essere entrati in questo cortile Francesco telefona alle suore ed esulta, con voce provata: siamo arrivati! Cosa dobbiamo fare? L'indicazione è di suonare il campanello a lato del portone e … attendere. Un quarto d'ora se ne è andato … "nessun segno" … il portone rimane serrato a doppia mandata. Ma quanto tempo ci vuole per aprire? Mentre pensieri sconclusionati, per la stanchezza e fame, si addensano nelle nostre menti, squilla lo smart di Clelio. Una voce implora: ma dove siete? Vi stiamo aspettando da un bel po’! … ma qui, nel cortile dell'abbazia! e di rimando la suora lo informa che al monastero vivono i monaci; la foresteria è a 400 metri sulla strada per Frosinone. Arrivati!! Le suore cistercensi di questa foresteria, che svolge anche il servizio di scuola dell'infanzia, sono di origine africana; probabilmente oggi siamo gli unici clienti di questo albergo pellegrino. Dopo aver preso possesso dei nostri alloggi semplici, funzionali, tranquilli, all'interno del parco annesso alla struttura e ripreso un aspetto più umano, l'abbondante e gustosa cena ci viene servita in una sala ben arredata, accogliente, adatta al massimo per sei persone. Scambiamo qualche parola con le suore per raccontare le odierne disavventure, causa primaria del nostro ritardo nell'arrivo. Non ricordo quale pellegrino si è rivolto alla suora così recitando: "forse abbiamo bisogno di una benedizione; qualcuno di noi doveva scontare peccati tali che doveva condividerne il peso con tutti, per non essere schiacciato da tale fardello". Domani sarà un altro giorno.