Visita al Santuario di Montserrat
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16 luglio 2015
Pardina del Solano - Sanguesa 33,4km
La notte andata è stata avara di refrigerio ben augurante per affrontare l'imminente tappa.
Alle 8.00 fissiamo l'ora della colazione, già predisposta, prima del nostro arrivo, dalla “locandiera” che ne chiarisce l'autogestione degli ospiti stessi e, tutto ciò che serve è a disposizione nella cucina annessa alla nostra “habitación”. Per questo motivo è perentorio sedersi intorno al tavolo imbandito con cura tutti assieme, alla stessa ora, evitando così che soggetti di nota fama facciano impallidire il mito di “Attila”. Squilla la sveglia, sono le otto, pronti …. Ma dov'è Arcangelo? Perché non è in camera? Con questi interrogativi scendiamo al piano terra della cucina-salotto e realizziamo che Arcangelo ha dormito l'intera notte sul divano lì presente … ha fatto la guardia ai viveri della colazione!? Puntuale arriva il taxi della “chica” Elena, ragazza che non ha nulla da invidiare alle campionesse di sollevamento pesi mostrando due polsi che sembrano robusti zamponi. Elena è simpatica e si destreggia con disinvoltura tra un dedalo di strette stradine. Nella comodità della pseudo carrozza lasciamo alle nostre spalle lunghi e polverosi rettilinei già infuocati da un sole che non si risparmia. Annuiamo senza incertezza che la scelta del taxi per superare questo tratto è più che giusta. Francesco conversa senza sosta di continuità con la “chica” che spiega perché in questa area della Catalogna, prossima alla Navarra, i paesi sorgono ora sul cucuzzolo abbandonando la precedente ubicazione nella sottostante pianura: il cambio di posizione risale al periodo medioevale quando questi borghi venivano continuamente attaccati dai guerrieri navarri per far razzia di viveri. All'improvviso ciò che si temeva; in prossimità di una stretta e cieca curva la “chica” rallenta, addossata all'argine della strada una pellegrina tutta accartocciata con aspetto già sofferente fa spazio all'ingombrante automezzo, Francesco, preso da un senso di frustrazione grida: “non facciamoci vedere!”. La Elena comprende il significato di tale concetto e ci definisce “Turigrinos”, epiteto che strappa al “cliente” seduto al suo fianco una risata incontenibile e così la Elena aggiunge “te gusta Turigrinos?”. Salutiamo la simpatica taxi-driver che si premunisce di stenderci il suo numero di telefono con la raccomandazione di chiamarla se avessimo difficoltà a raggiungere le mete successive: il suo taxi è sempre al servizio dei “turigrinos”. Dalla località di Artieda riprende la litania del passo dopo passo; in maniera fluida, dopo circa due ore raggiungiamo Ruesta, borgo diroccato che mostra delle ex discrete mura di cinta dominate da una massiccia torre. In questo luogo più che isolato, un centro sociale con esposti cartelli inneggianti alla lotta di giustizia civile in Messico; certamente non è una propaganda rivolta alle masse. Qualche metro più in basso un Albergue in attesa di pellegrini confina con un … chiamiamolo bar dove innaffiamo la nostra sempre più arida gola; riempiamo le nostre piccole bottiglie con fresca acqua ignari di ciò che ci aspetta, quando ... veniamo feriti da una risposta telefonica di chi è sempre in servizio con ... “pronto, Eccellenza!” Nella mattinata un lungo e stretto arco alberato tra campi di grano sia a sinistra che a destra ci ha risparmiato dal contatto diretto con i “dardi” solari, ora davanti a noi l'accoglienza di una polverosa strada, con manto sottile come cipria, che sale e sale per vari km senza possibilità di ombra. La marcia continua, la testa è infuocata, l'acqua a disposizione è quasi esaurita, quella poco rimasta è calda al punto giusto per un tè. Più che alla ragione occorre affidarsi alla teoria dei piccoli passi per raggiungere lo scavalcamento dell'alta collina e gettarsi poi in picchiata sulla pietraia infuocata che porta ai piedi del borgo Undués de Lerda. Nella dura, arroventata salita, Arcangelo, nello sbandamento mentale, perde la sua indiscussa visione cristiana per il prossimo e lancia epiteti irriferibili all'indirizzo di chi, senza accennare a soste, lo precede e lui rimpiange lo scarso utilizzo invernale del personale tapis roulant. Undués de Lerda non si concede facilmente, va conquistata risalendo un ripido strappo che offre, alla sua sommità, sotto una più che desiderata copertura dal sole una grande vasca di acqua non potabile ma utilissima per placare l'arsura del corpo. In pieno centro (si fa per dire) l’Albergue del pellegrino con i gestori in attesa di rari avventori nella consapevolezza che in questo periodo “muy caliente”, la durezza della tappa, la scarsità di fonti per dissetarsi sconsigliano l'avventura a meno che non si prenda … il taxi della Elena. Nel bar annesso, in un baleno, ingurgitiamo diversi litri di acqua in attesa di essere invitati dalla locandiera, alla quale abbiamo dato carta bianca sulle pietanze da divorare, ad accomodarci nella sala pranzo. Al seguito di un'insalata mista arricchita da pomodori, uovo, tonno, asparagi ed altro … ecco il “pavo”, ci chiediamo cos'è; mentre lo mangiamo con avidità, Clelio interroga il traduttore nel momento in cui la locandiera passando alle sue spalle si esibisce in un: “glu glu, glu glu”; sii il “pavo” è il tacchino! Per concludere degnamente il pranzo chiediamo del dolce o gelato da gustare; un istante dopo guardando noi pellegrini, compagni commensali, Francesco si rivolge alla locandiera ordinando: “io prendo il gelato, loro l'ice cream!”. Il tempo stringe, occorre riprendere la via, però è d'obbligo fare una foto con la locandiera, di simpatia inversamente proporzionale al suo aspetto fisico, davanti al suo Albergue affidando l'incarico al marito che dopo qualche minuto riesce ad inquadrarci tagliandoci a metà. La meta è a 10 km, il braciere solare dopo un po' lascia spazio a minacciose nuvole, ma non arriva la prevista “búfera”. Intorno alle 18.30 la cittadina di Sanguesa (da non confondere con sanguisuga), paese di circa 5 mila abitanti con l’immancabile plaza de toros. Incrociamo la Cattedrale con bellissimo portale ricco di rappresentazioni in bassorilievo, attraversiamo il ponte sul già menzionato fiume Aragon; sull’altra sponda, lato Sud del corso d'acqua, si affaccia l'Hotel Rural che, privo di aria condizionata, ci offrirà una notte infuocata per l'ubicazione delle camere nel sottotetto e il mattino seguente una colazione valutata con un quattro scarso per la sua pochezza. Per la cena occorre aspettare l'ora canonica di apertura della cucina dei ristoranti (ore 21.00) e nell'attesa girovaghiamo per il paese. Un capannello di persone di lontana giovinezza sosta di fronte alla chiesa di San Giacomo ancora aperta, entriamo per ammirarne l'interno; tra le varie statue di Santi e Madonne spicca la presenza di una Madonna con vestito Sud Americano: Nostra Signora dell'Ecuador; ogni riferimento personale non è casuale. All'uscita, nei pochi metri tra la chiesa e il ristorante Francesco riesce, ma nessun ne dubitava, ad imbarcarsi in una serrata conversazione con una signora del luogo ancora sotto eccitazione per aver partecipato ad una bellissima processione che, dalla summenzionata chiesa, si è snodata anche per i territori di competenza della altre parrocchie. Concludiamo questa giornata con un brindisi, non di vere bollicine, ma di solo amabile birra.