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16 luglio 2014

Mattino: Trasferimento a Mauleon-Licharre

Con ogni mezzo possibile occorre raggiungere Mauleon dove iniziare a muovere i primi passi del cammino con meta finale Pamplona.
Il programma già predisposto prevede di prendere alle 8.38 a.m. il treno con “destino” Pau e lì, a distanza di soli cinque minuti dall'arrivo, la coincidenza per Oloron Sainte Marie. In attesa del treno, inaspettato l'annuncio: “il treno per Oloron è in ritardo di 5 minuti”. Per la miseria, addio coincidenza! Per buona sorte dei pellegrini tutto si appiana e Oloron è raggiunta come preventivato. Quì dobbiamo aspettare due ore prima di servirci di un ulteriore pullman per arrivare a Mauleon intorno alle 13.05 e solo allora, liberi dal giogo dei mezzi di trasporto, il destino sarà nelle nostre mani, è un modo di dire; sarà nelle nostre gambe e piedi. Intravista all'arrivo di Oloron l'indicazione dell'ufficio del turismo, che ormai attrae uno di noi pellegrini più di una bella torta al cioccolato, lo raggiungiamo per vedere se è possibile raggiungere Mauleon con un taxi guadagnando un'ora di prezioso tempo (fondamentale) per portare a termine la tappa odierna.
Nella “oficina de turismo” inizia lo show linguistico del Pellegrino, azzardiamo poliglotta; mischia italiano, italiano volgare, francese, basco nel chiedere informazioni e quanto altro. Il bello è che viene compreso dall'addetta anche se spesso non è, viceversa, scontata la sua comprensione. Bando agli indugi ci accordiamo sulla necessità di usufruire di un taxi che in pochi minuti verrà a prelevarci. Alla guida c'è una donna simpatica nella sua voluminosa esuberanza e vedendo solo maschietti dice indicando la fede sul dito: “e le femmes?”. Il personaggio è proprio quello di cui ha bisogno Francesco per nutrire la sua capacità di espressione linguistica; per tutto il tempo del tragitto parlano continuamente; il capirsi è secondario, l'incomprensibile “camminè” alla fine è individuato dalla taxista nel più corretto “marcher”. L'unica informazione di un certo rilievo fornita dal “taxi driver” è che l'ultimo orso dei Pirenei è stato ucciso l'anno scorso!!
Piazza di Mauleon, l'orologio segna le 12.00, al costo di 58 euro abbiamo guadagnato quell'ora che risulterà decisiva per la nostra … salvezza. Il sole picchia violentemente, la temperatura dell'aria è sopra i 30°C, il dilemma è: ”fermarsi o non fermarsi nella trattoria al di là della strada?”... La scelta è ovvia.

Pomeriggio

1a tappa: Mauleon Licharre – St Just Ibarre 22km

Incuranti del caldo, con baldanza affrontiamo i primi km. Al primo villaggio lungo il percorso, all'ombra di grandi querce, due pellegrini: una giovane donna e il figlio probabilmente ancora nei suoi teen. La lancetta dei minuti non ha ancora compiuto un giro e già Francesco sembra conoscerli da tempo; sono polacchi ma da qualche tempo vivono a Parigi. Una esclamazione di meraviglia di Francesco rompe il fruscio del vento che si infiltra tra i rami degli alberi: “sono di Czestochowa, questo è un segno!”. L'idioma che diffonde nello spazio circostante potrebbe definirsi Esperanto per un mix d'italiano (lingua madre), francese (siamo in terra di Francia), spagnolo (in onore del cammino di Santiago). Rivolgendosi alla pellegrina fa presente che noi veniamo da Loreto dove c'è il santuario della Madonna Nera come a Czestochowa … ma con suo disappunto la pellegrina non ne conosce l'esistenza e, in un buon inglese, apre la discussione sulla via da seguire dato che uno dei due percorsi alternativi per raggiungere la meta odierna, è chiuso al passaggio pedonale per motivi di sicurezza causa una frana. Pur avendo la stessa meta odierna seguiamo due vie di attacco diverse. Con stupore, circa un'ora dopo ci accorgiamo che sono davanti a noi, come è possibile? Il ragazzo procede con un movimento della gamba destra che anziché longitudinalmente se ne va trasversalmente alla strada. Il caldo è sempre più opprimente, quando ormai siamo alle ultime gocce d'acqua con la testa in piena ebollizione come pentola a pressione, di nuovo, all'ombra di un albero addossato ad un muretto delimitatore del letto di un fiumiciattolo, una fontana dove si stanno rifocillando i pellegrini madre e figlio. E' l'ultima oasi della giornata, il più (per noi creduloni) è alle spalle. Da lì a poco occorre affrontare una dura salita di cui non se ne sentiva la necessità e alla mercè del cocente sole in assenza di un refolo ventoso “cola” il sudore come da grondaia rotta sotto il temporale. La stanchezza rende manifesto un certo vaneggiamento e così per accendere l'ottimismo in questa valle di sudore coniamo dei motti e tra questi, uno appropriato alla natura di qualche pellegrino recita: “mangia prima di camminare”, intavolando un discorso per dimenticare il disagio.
A due km dall'arrivo la strada è bloccata ai pedoni causa una ulteriore frana; un cartello indica di entrare nel bosco; superato un cancello ci troviamo in compagnia di mucche al pascolo. Non vi è traccia di sentiero, a naso ci avviciniamo ad un muretto sormontato da filo spinato, con circospezione lo superiamo, fatto un passo ci accorgiamo della presenza di un cancello per evitare il salto spinato. Percorriamo un sentiero scosceso e fangoso per riguadagnare la giusta via.
Percorsi 22km , siamo a St Just Ibarre, quattro case ed una chiesa dove tutto sembra immobile. Al centro del villaggio il nostro Hostal Rural, albergo bar che si fregia di aver vinto nel 2013 il premio di miglior ritrovo di St Just; è certezza che la concorrenza non era molto agguerrita.
Dove è l'ingresso? Giriamo intorno all'edificio ma tutto è spento, ogni porta è serrata. Oddio l'Hostal è chiuso! Da lì a qualche secondo una vecchia Jeep arranca verso di noi, la fermiamo per chiedere informazioni e ... questo si che è un segno, l'uomo alla guida è il proprietario che se ne stava andando; non avendo noi telefonato in giornata aveva chiuso “l'albergo”. Contrariato ritorna sui suoi passi e schiava la porta d'ingresso del bar rifugio. Le sue lapidarie parole sono: “la cucina è chiusa, solo le camere sono disponibili”. Già a conoscenza sin dalla prenotazione telefonica, fatta da interposta persona, che l'albergatore era di poche parole (sebbene la realtà va ben oltre) non abbiamo la forza di demoralizzarci e chiediamo almeno un bicchiere di acqua “municipal”.
La fresca acqua ristoratrice sfrena Francesco in un miscuglio di vocaboli di dubbia comprensione accompagnati da gesti molto più eloquenti rivolti al taciturno gestore tuttofare per mendicare qualcosa, di qualsiasi genere purché sia da mangiare.
Il miracolo: in silenzio, questo uomo corpulento e dalla vita solitaria che si compiace nelle foto affisse alla parete del bar dove è immortalato in veste di cacciatore nell'Africa nera, allinea su un tavolaccio di legno delle posate e fa il gesto di prendere posto. In pochi minuti sul tavolo depone un vassaio con prosciutto tagliato a mano contornato da evidente quantità di grasso, pezzi di formaggio e sorprendentemente da lì a poco deposita una fiamminga con bocconcini cotti di non so cosa e di quale parte di animale, il tutto lo innaffiamo con una buona birra. Dimenticavo, usufruiamo anche di un buon trancio di torta per chiudere il pasto in bellezza.
La suddetta cena, non da cinque stelle, è rallegrata dalla compagnia, non invitata, di decine e decine di mosche che svolazzano festose per poi buttarsi in picchiata su piatti e bicchieri e alzando gli occhi, in bella vista pendono dal soffitto sopra le nostre teste delle carte moschicida che sembrano cedere sotto il peso di tanta “selvaggina” catturata. Quì il detto : “ciò che non strozza ingrassa” tocca la sua sublimazione. Al termine della cena in questo luogo detto “bar” entra, sorridente , riposata ed in “vestito da sera” la pellegrina polacca in compagnia di altri pellegrini alloggiati in una vicina casa rurale venuti a prendere una birra, in questo “bar bistrot” perché il loro rifugio è una bettola rispetto a questo … paradiso!
I veri pellegrini (tre) non vedono l'ora di ritirarsi, mentre (due, i più mondani) rimangono in conversazione con gli altri in questo luogo di sconforto. Diranno poi di aver conversato (!) ma in verità hanno ascoltato vita morte e miracoli di una pellegrina austriaca che si è incamminata da Salisburgo e pensa di arrivare a Santiago fra qualche mese.
Dopo questa cena è obbligatorio sperare bene! Saliamo fiduciosi al piano alto della pensione dove una discreta camera, con assenza di mosche, ci accoglie benevolmente. A domani.