Sesto Giorno
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20 luglio 2014

Pamplona

Era ora, come ai tempi passati, largo spazio alla colazione mattutina. Dopo il quarto piatto (cadauno) dei due pellegrini che sanno meglio apprezzare ciò che è offerto dal buffet assaggiando ogni cosa in mostra, raggiungiamo il centro storico per un meritato vagabondaggio. Da piazza Castillo ci portiamo lungo la via percorsa dai “Toros” nel giorno di San Firmino. Nell'attesa dell'uscita di Francesco dal ben noto (anche al lettore) ufficio, per la terza volta incontriamo Elide in solitaria che con panino in mano (o meglio ciò che ne resta) è alla ricerca di un market dove comprare viveri per la giornata per lei ed i suoi compagni di viaggio già acquisiti. Continuiamo a girovagare; raggiunta la piazza antistante la Cattedrale, che aprirà al pubblico alle ore 12.00 in concomitanza della celebrazione Eucaristica, seduti su una delle panchine incontriamo i compagni di cammino di Elide e salutandoli li sollecitiamo a mettersi lo zaino in spalla per raggiungerla poiché difficilmente tornerà indietro. Un venticello frizzantino rende piacevole questo andare a zonzo per il centro storico. Il suono delle campane annuncia l'inizio della celebrazione in Cattedrale e così ci rechiamo là con sollecitudine. La cerimonia è accompagnata dall'emozionante suono di un imponente organo alla cui tastiera e pedaliera un uomo in saio bianco dà sfoggio di tutta la sua maestria e sulle note dell'organo la voce di un cantore allo stesso tempo armonica e coinvolgente. Tutto si svolge nel silenzio dei presenti senza il trillio dei cellulari, bambini che corrono, fedeli che bisbigliano. Il celebrante viene Da Santiago di Compostela alla guida di un gruppo di suoi parrocchiani.
Questo è il “segno” cercato da Francesco: “anni addietro nel nostro pellegrinaggio portoghese a Santiago, celebrò la messa il Vescovo di Pamplona alla guida di fedeli della Navarra, ora qui nel cuore della Navarra celebra la funzione religiosa un prelato di Santiago”.
Cibati di un misero panino, via treno a Saragozza, città fondata da Cesare Augusto. L'addentrarsi nella terra spagnola è evidente, ormai lo spagnolo del nostro compagno pellegrino fluisce come fiume in piena.

 

Saragozza

Scesi dal treno, di corsa sull'autobus per raggiungere la fermata di viale Cesare Augusto ad un centinaio di metri dal nostro Hotel. Francesco indica all'autista, sulla mappa, dove dobbiamo scendere e, nella piena euforia di esprimersi in spagnolo, gli ricorda di allertarci con la seguente chiara espressione (mi scuso se l'ortografia non è corretta):
“sesserecuerda”.
Ecco il nostro hotel, è un quattro stelle, ora si che siamo pellegrini “quasi” a cinque stelle. Nel momento in cui stiamo per varcare la soglia d'ingresso, la nostra attenzione è attratta dal suono di tamburi che accompagnano una lentissima processione nella via laterale che costeggia l'Hotel: è la processione della consacrazione della Maddalena, Aragona 1750, e questa via è a Lei intitolata.
Prima di continuare, mi concedo un passo indietro nel tempo per risaltare la dimestichezza linguistica del pellegrino più volte menzionato. Sull'autobus intavola un discorso con una giovane coppia impegnata a mantenere ferma la carrozzina del proprio figlioletto, alla fine il pellegrino con estrema naturalezza porge questa domanda: “comos se traduces destra in spagnolo?”. Si lascia al lettore indovinare se l'interrogativo è stato sciolto. Inoltre, alcuni minuti più tardi, nell'avvicinamento all'albergo con la mappa stradale in mano e lo sguardo vigile per individuare i vari incroci, una giovane coppia di olandesi affianca Francesco che interpreta ciò come se avessero bisogno di una informazione stradale e in italiano con inflessione spagnola dice: “io sono in cerca dell'Hotel, voi cercate l'ostello?”. Dalla risposta si comprende che il discorso fra i soggetti non produce nessun risultato utile al che si rivolge così alla ragazza: “voi volete aiutare noi? o noi dobbiamo aiutare voi?” Chiaramente la ragazza non comprende un accidente e prontamente chiede se conosce l'inglese; al si, la giovane snocciola un inglese fluente che mette per un attimo in difficoltà l'ormai pseudo-pellegrino; niente paura, le toglie la parola e nel suo personalissimo “British” racconta le recenti e passate imprese da pellegrino.

Ritorno al momento cronologico sospeso. Alla ragazza della reception tra le varie informazioni, aprendo la mappa della città appoggiandola sul banco chiediamo di indicarci dove trovare dei buoni ristoranti. La ragazza con penna in mano per fare un cerchio sulla cartina stradale, con serietà professionale, parte con “Domingo”, la voce è ancora sulla vocale finale che Francesco ha uno scatto improvviso e catapultando lo sguardo sulla mappa chiede “donde stà Domingo!”. E' impossibile per la ragazza, i presenti nella hall e noi poveri pellegrini non scoppiare in una sincera risata generale. Voleva solo dire che oggi è domenica, i ristoranti sono chiusi, l'alternativa sono le “Tapas”.
Depositati gli zaini, a piedi raggiungiamo la piazza dominata dal Santuario di Nostra Signora del Pilar lungo il lato maggiore di un quadrilatero con al fianco, sul lato minore, la cattedrale del Salvatore. Ammiriamo soprattutto la facciata del Santuario con grande cupola centrale, campanili ai quattro angoli e cupole più piccole a tegole colorate. All'interno, al centro dell'ampio spazio, un altare con la statua della Signora del Pilar. La statua è molto piccola rapportata alle dimensioni del luogo; gli ornamenti, i fregi, gli ori sono armonici e delicati dando un senso di leggerezza come se fosse sospesa nell'aria. Una semplice preghiera, una breve meditazione e riflessione è d'obbligo prima del congedo con il proposito di una ulteriore visita l'indomani mattino.
Bene, è l’ora delle “Tapas”. In fin dei conti cosa esattamente sono non importa, l'interessante è che si mangi. Sotto il porticato all'angolo della piazza in prossimità della Cattedrale una insegna galeotta attira la nostra attenzione: Buffet&Tapas; sbirciamo dalla vetrina esterna per capire che cosa offre. Il locale è pieno di avventori che si muovono come foglie al vento. Entriamo e chiediamo come funziona, il signore alla cassa mostra una autorità padronale e spiega che occorre sedersi ad un tavolo, ordinare solamente le bevande e pagando all'uscita 15 euro a testa oltre al costo delle libagioni, si è liberi di mangiare tutto ciò che si vuole fino alla propria resa; ovvero “Tapas” vuol dire assaggi vari con quantità illimitata! Non ci facciamo pregare e in un batter d'occhio ci gettiamo nel mare di assaggi, nessuna formalità per capire che cosa prendiamo, nessun ordine nello svolgere il menù individuale: passiamo dal riso al gelato, dal dolce alla zuppa per ricominciare poi con qualche altra stranezza e così via. Il bello è che pur mangiando, mangiando e innaffiando il tutto con birra non avvertiamo quell'ovvio senso di sazietà e solo per stanchezza alziamo bandiera bianca. Poi nella più che fresca e ventosa notte ci spingiamo fino al ponte sul fiume Ebro per alcune foto rivolte all'affasciante spettacolo offerto dal Santuario artisticamente illuminato.